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United Colors of Purpose Washing: l’eredità controversa di Toscani e Benetton

United Colors of Purpose Washing: l’eredità controversa di Toscani e Benetton

Storia incompiuta della rivoluzione pubblicitaria che voleva cambiare il mondo

In questi giorni, dopo la scomparsa di Oliviero Toscani, si celebra molto il suo lavoro con Benetton. Da trevigiana, cresciuta con questo brand nel DNA del territorio, rifletto e condivido questo caso straordinario e contraddittorio, che ho sempre trovato emblematico.

Toscani, con le sue campagne memorabili per Benetton, ha contribuito a definire l’identità del marchio ed elevarlo a livello globale. Insieme, hanno creato qualcosa di rivoluzionario per l’epoca: sfidare il mondo della tradizionale pubblicità commerciale nella forma (con immagini scioccanti e provocatorie) ma anche nella sostanza, introducendo temi sociali dirompenti capaci di generare reazioni emotive forti come coraggio, indignazione, rabbia e dibattiti su questioni spesso considerate tabù.

Benetton è stata pioniera di un approccio che oggi è quasi obbligatorio per i brand globali: parlare di equity, diversity and inclusion. Ai tempi, il management fondatore, per una sincera condivisione di valori, aveva dato a Toscani una libertà creativa totale, dimostrando che ci si poteva fare portavoce di questioni sociali senza rinunciare alla propria identità commerciale. Ce ne siamo innamorati tutti, abbagliati dalla potenza del suo occhio visionario.
Ma la storia racconta che c’è poi stata un’evoluzione diversa e più complessa.

Prima che termini come ‘Purpose Driven Business‘ o ‘CRS – Corporate Social Responsibility‘ diventassero mainstream, sono emerse le prime contraddizioni tra la comunicazione innovativa del brand e le sue pratiche operative. Un caso che oggi definiremo di ‘purpose washing‘: ovvero quella tendenza delle aziende a promuovere il proprio impegno verso cause sociali, ambientali o etiche, senza però accompagnarlo ad un autentico cambiamento strutturale nelle proprie pratiche operative.

Infatti, diventata iconica e famosa, l’azienda ha progressivamente delocalizzato le sue produzioni italiane verso paesi del sud globale, sacrificando la qualità a favore della quantità e trasformandosi a tutti gli effetti in un brand di fast fashion.

Una realtà che ha costruito la propria forza comunicativa su messaggi progressisti e inclusivi ma che, sul piano concreto, ha fatto ben poco per migliorare aspetti fondamentali come i diritti dei lavoratori e la sostenibilità ambientale. Il divario tra i valori proclamati e le azioni concrete è diventato sempre più evidente.

Lo stesso Toscani, negli ultimi anni, aveva espresso profonda delusione per come i successivi cambi di dirigenza avessero sfruttato la sua eredità come mero strumento di marketing. Attraverso le sue campagne, Oliviero aveva costretto il pubblico a confrontarsi con realtà scomode e a riflettere su questioni di grande rilevanza, ma Benetton, nel tempo, è riuscita a fare altrettanto?

Oggi, mentre celebriamo il genio creativo, questa storia è una conversazione necessaria per chiunque: l’autenticità non è negoziabile.

Il progresso che vogliamo non può essere una mera illusione pubblicitaria.

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