Conoscete la “stella verde della sostenibilità” di Michelin?
I ristoranti che la ottengono propongono menù straripanti di prodotti animali: razze rustiche in via d’estinzione “utilizzate dalla testa alla coda”, prodotti lattiero-caseari, trote di montagna, selvaggina, galline, maiali, gamberi, specie invasive. Il tutto condito da una narrazione retorica di “riscoperta e amore per la terra”.
Il ritornello è sempre lo stesso: “Una volta li allevavano così, noi continuiamo la tradizione…“. Peccato che la realtà sia ben diversa.
I nostri antenati, soprattutto quelli delle zone montane dove coltivare era impervio, si sognavano menù abbondanti di derivati animali. L’allevamento era una necessità di sopravvivenza, non un lusso gastronomico. I contadini consumavano proteine animali sporadicamente, arrangiandosi con quello che avevano.
Oggi conosciamo le dinamiche delle filiere produttive. Anche se alcune realtà rurali hanno un impatto ambientale e sociale lievemente migliore rispetto all’allevamento intensivo di pianura, resta sconcertante vedere menù straripanti di animali serviti con tale leggerezza.
La tradizione non è mai stata produrre creature specificatamente per essere uccise e servite in ristoranti stellati, spacciando questo come preservazione della razza, dei territori, delle tradizioni. Storicamente, si è sempre utilizzato e sacrificato la vita altrui per necessità e sopravvivenza, non per gola o profitto. Oggi, si è trasformato il cibo da mezzo di sopravvivenza a spettacolo consumistico.
Che si tratti di specie allevate, cacciate, sfruttate per latte, uova o carne – dagli insetti ai mammiferi, dai volatili ai pesci – qui c’è molto sfruttamento e ben poca sostenibilità. Manca totalmente la consapevolezza delle filiere e il rispetto per la vita altrui.
Etica e sostenibilità significano filiere agroecologiche prevalentemente vegetali, locali e stagionali. Significa esaltare l’agrobiodiversità di cui i nostri territori sono ricchissimi da nord a sud: cereali, legumi, verdure, frutta, frutta secca, oli, semi, funghi, alghe, erbe spontanee, foraging.
La mercificazione delle “stelle verdi” porta narrazioni edulcorate di verde che ignorano le vite dietro ai piatti. La sostenibilità non è l’ingrediente in sé, ma tutto ciò che lo circonda e le interconnessioni con le reti della VITA. Troppo spesso, dietro la parola “sostenibilità” c’è solo morte – morte di altre specie, romanticamente giustificata come “morte sostenibile” e dunque accettabile, inevitabile.
Non riempiamoci la bocca di parole come etica e sostenibilità con tutta questa mattanza nei nostri piatti.
Infine, per quanto ci si possa preoccupare della sostenibilità di un ristorante, diventa irrilevante se la maggior parte dei clienti volano in business class o guidano SUV per arrivarci. L’impronta di carbonio dei visitatori diventa parte dell’impronta del ristorante.
La Guida Michelin non nutre le persone, ma il turismo gastronomico. Più si viaggia, maggiore è l’impronta di carbonio e la credibilità che Michelin ottiene. Le loro stesse categorie lo ammettono: una cucina a due stelle “vale una deviazione“, tre stelle “vale un viaggio speciale“.
Questo non è sostenibilità. Questo è anti-ESG.