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Pet Economy e dilemmi etici: i prezzi nascosti degli animali domestici

I dubbi etici sulla scelta di vivere con animali domestici

Una riflessione critica sul sistema della Pet Economy e le sue contraddizioni

Da persona antispecista e vegana, mi trovo spesso nella bilancia delle contraddizioni, a oscillare tra il desiderio di aiutare singoli animali in difficoltà e la consapevolezza delle implicazioni sistemiche dell’industria degli animali domestici. Questo pendolo costante accompagna ogni mia riflessione sulla possibilità di accogliere in casa nuovi compagni di vita.

Ci sono tanti motivi e tanti ragionamenti dietro su cui rimugino da tempo e oggi provo a condividerveli.

Ragioni personali: la responsabilità di accogliere un animale

In passato, la mia scelta di non adottare era guidata da una vita nomade e dai continui spostamenti per lavoro. Decidere di condividere la propria esistenza con un animale è un impegno profondo: richiede presenza, tempo e risorse per garantire una vita dignitosa. Anche oggi, che potrei avere condizioni materiali migliori per ospitare un animale, mi trovo a riflettere profondamente su questa scelta. Non si tratta solo di poter garantire tempo, spazi e risorse, ma di confrontarsi con interrogativi etici più profondi e interconnessi.

Selvatici vs domestici: una questione di priorità

A riguardo, spesso un pensiero radicale attraversa la mia mente: “per me i domestici non dovrebbero proprio esistere” – e sono serissima. Quanti pensieri e impegno ci dovrebbero richiedere i selvatici, quelli sì che avrebbero bisogno di noi, del nostro attivarci concretamente per loro, di tutele e protezioni, da lontano. Da loro, dalla biodiversità, dipendono gli equilibri delle reti della vita che ci sorreggono tutti. Ma noi ci sentiamo immuni e distanti da qualcosa da qualcosa di così grande e quasi intangibile.

Ci viene più semplice provare empatia per le creature che ci stanno fisicamente vicino, che entrano in casa nostra, che coccoliamo, con cui stabiliamo un rapporto. Chi consideriamo nostra, che possediamo, sotto la nostra protezione, che cominciamo a considerare ‘famiglia’. Tutto quello che sappiamo esistere, ma è lontano da noi, e non ci appartiene, non ci fa provare le stesse sensazioni. C’è una disconnessione tra la nostra capacità di empatizzare con altre forme di vita e la nostra indifferenza verso la devastazione degli ecosistemi naturali di cui loro fanno parte. 

Che la nostra società tende a privilegiare alcune specie rispetto ad altre, creando gerarchie arbitraria dove cani e gatti occupano un posto privilegiato mentre ignoriamo la sorte di migliaia di altre specie “da reddito”, lo sappiamo bene. Conosciamo lo specismo come sistema di oppressione del vivente e le sue sfumature. Questa sua ennesima sfumatura, ci porta a investire enormi risorse per i pet, mentre le specie selvatiche scompaiono nell’indifferenza generale. Non si tratta di scegliere “uno contro l’altro”, ma di riconoscere le dinamiche sistemiche che influenzano entrambi e le rispettive situazioni.

animale marrone vicino allo specchio d'acqua

L’industria della selezione genetica

Ovviamente, inutile ribadirlo, non acquisterei mai un cane “di razza“. Sono considerati oggetti selezionati, creati da madri fattrici, padri premiati, nascono certificati e vengono venduti a prezzi salati. Puro status symbol. Sono loro stessi a pagare i danni delle nostre selezioni genetiche, sui loro corpi. Vedi il carlino o i bulldog, o il bassotto, per citarne qualcuno. La sola idea che i bassotti siano stati selezionati con le zampe corte e il corpo allungato per permettere loro di entrare dentro le tane di altri animali e stanarli, mi devasta. Sapere che a causa della conformazione del loro corpo, diversi tra loro con il tempo sviluppano problemi e dolori alla colonna vertebrale, anche. Come mi devastano i cani selezionati per la caccia ad altre specie sorelle, come mi distrugge l’idea di un animale che viene addomesticato e addestrato per adattarsi a convivere con noi. Sono sempre loro a doversi adattare a noi, noi ci facciamo poche domande su quali siano le loro priorità e diritti. 

 

Le statistiche ci raccontano che in Italia ci sono ben 65 milioni di animali domestici; circa il 40% delle famiglie, hanno in casa almeno un animale domestico. Principalmente pesci, animali da acquario, uccelli ornamentali in gabbia, gatti, cani, poi piccoli mammiferi e rettili. Dai più controllabili e gestibili, ai meno. Mi stranisce, sapere che in città vivono specie esotiche di altri continenti che vivono in gabbie, teche, acquari o che alcune nei loro paesi d’origine sono a rischio estinzione o estinte (e che c’è chi di lavoro li vende e diffonde informazioni come queste). Mi disorienta, vedere in città, molte razze di cani selezionate per scopi specifici in epoche e ambienti molto diversi, che si trovano ora a doversi adattare ad uno stile di vita urbano per il quale non sono stati originariamente concepiti, e per scopi molto diversi da quelli attuali. Per esempio, sempre i bassotti, originariamente selezionati per la caccia sotterranea, oggi li vediamo passeggiare sui marciapiedi cittadini, nelle borse o vivere in appartamenti, in contesti completamente diversi da quelli in cui e per cui sono stati inizialmente ‘creati’ (si, con la selezione genetica). Questa decontestualizzazione è diventata così comune da essere ampiamente accettata e normalizzata. Questo solleva questioni non solo sul benessere degli animali stessi, ma anche sull’impatto che questa presenza massiccia di animali domestici piccoli o grandi ha sugli ecosistemi urbani, nelle aree verdi limitrofe e sulla fauna selvatica locale e limitrofa.

Il dilemma dell’alimentazione e l’impatto ambientale

Mi è insostenibile anche l’idea di salvare un animale e mettermi in casa un carnivoro obbligato o quasi, a cui devo servire quotidianamente altri animali allevati appositamente per sfamare lui. Come se non sapessi che gli allevamenti creano distruzione di habitat e biodiversità, e mentre io decido di non alimentarli e cibarmi di morte, convivo con chi non può nutrirsi diversamente.

Mi è insostenibile l’idea di salvare un animale, mettendomi in casa un carnivoro obbligato o quasi, per cui ne dovranno essere sacrificati altri. Sebbene esistano studi e dibattiti sulla possibilità di alimentare i cani con diete vegetali bilanciate, la questione rimane controversa. Per i gatti, carnivori obbligati, questa possibilità non esiste nemmeno. Come conciliare quindi la scelta di non alimentare gli allevamenti con la necessità di nutrire un animale che non può fare a meno di prodotti di origine animale? Il cibo umido ha un impatto ambientale maggiore rispetto al cibo secco e c’è la necessità di sviluppare strategie più sostenibili per la produzione di pet food, come l’uso di carni prodotte in laboratorio e ingredienti alternativi (tipo gli insetti, che avrebbero un minor impatto, ma sono animali anche loro!). Nel frattempo, anche l’idea che ogni giorno dovrei aprire confezioni o cucinare sentendo l’odore delle carcasse che mangiano, e poi che espellono, mi mette in difficoltà.

Free A curious Shiba Inu looks into a butcher shop window displaying meats and workers. Stock Photo

Anche le loro feci, scaricate nei wc, hanno un impatto. Possono contenere residui di parassiti, patogeni, farmaci e antiparassitari che finiscono nel ciclo dell’acqua, poiché i sistemi di depurazione tradizionali non sono sempre in grado di eliminare completamente. Se finiscono nelle acque superficiali, possono rappresentare un rischio per la fauna marina e potenzialmente anche per noi.

Quando poi non li teniamo in casa, cani e gatti liberi, hanno un impatto sulla biodiversità locale che è significativo e documentato. I gatti domestici che hanno accesso all’esterno sono considerati tra i principali predatori in ambiente urbano e suburbano. Predano attivamente piccoli mammiferi, rettili e soprattutto uccelli, anche quando sono ben nutriti. Anche quando non cacciano attivamente, il loro comportamento territoriale disturba gli equilibri naturali. La loro sola presenza causa stress negli uccelli, che spesso abbandonano le aree di nidificazione, e si osserva un drastico calo delle popolazioni di piccoli vertebrati.

I cani, seppur in modo diverso, hanno altri impatti: il loro abbaiare e la loro presenza spaventa la fauna selvatica. L’urina e le feci modificano la composizione chimica del suolo (pensate alle aree cani, ai giardini pubblici…) il loro comportamento di scavo può danneggiare tane e rifugi di piccoli animali. Possono trasmettere malattie alla fauna selvatica e alterare le già fragili catene alimentari locali messe a dura prova dal consumo di suolo antropico e dai cambiamenti climatici.

Sono tutti esempi di come gli animali domestici, pur non per colpa loro, si inseriscano in un sistema già fortemente impattante sugli ecosistemi, aggiungendo ulteriore pressione sulle infrastrutture e sull’ambiente, da molteplici punti di vista.

L’impero della Pet Economy, l’ipermedicalizzazione e la sperimentazione animale

Animali d’affezione, da compagnia: l’esistenza di migliaia di loro in ogni casa occidentale, li ha resi un’estensione del nostro insostenibile modello di consumo. La Pet Economy oggi è un impero, letteralmente un giro d’affari bestiale. Ha contribuito enormemente alla normalizzazione dei pet in casa, creando un intero ecosistema di prodotti e servizi che rendono “naturale” la presenza di questi animali nelle nostre vite urbane. In questi articoli, uno e due, i numeri che riguardano l’italia. 

Negli ultimi anni, il mercato globale della cura degli animali domestici ha conosciuto un’espansione senza precedenti, superando i 200 miliardi di dollari nel 2023 e con prospettive di crescita fino a 350 miliardi nel 2027.

Uno sviluppo che riflette profondi cambiamenti culturali e sociali: i cambiamenti demografici (il calo della natalità in particolare), il ruolo sempre più centrale e umanizzato degli “animali d’affezione” e il prolungamento della loro aspettativa di vita. Tutto questo ha dato origine ad un’economia parallela incentrata su tre pilastri principali:

pet food, lifestyle, diagnostica veterinaria e farmaci veterinari

Iniziamo dal Pet food: i consumatori privilegiano sempre più alimenti premium e personalizzati, con prodotti che migliorano la salute digestiva, la pelle e il pelo, o che rispondono a esigenze specifiche di razze e fasi di vita. Il pet food è fatto principalmente di scarti degli allevamenti, ma si tratta di un co-prodotti, come la pelle, su cui si monetizza e con cui si creano costole di mercati paralleli. Inoltre, esistono anche allevamenti specifici dedicati a creare appositamente luxury pet food.

PledgeCare animal welfare campaign: Uncle Win's shelter | FMT

Lifestyle: troviamo superstore straripanti di qualsiasi oggetto o servizio; da quelli necessari come la cuccia, la lettiera, la sabbia, la paletta, il cibo, i prodotti per l’igiene, gli antiparassitari, guinzaglio, ciotole, fino ai più opulenti accessori, utensileria varia, borse, vestiti e al gelato per i pets. Aggiungiamo tutti i servizi di mantenimento e tempo libero: la toelettatura, i viaggi, la pensione, l’hotel dog-friendly, la petsitter, l’educatrice, la pet therapy, la dog-beach, la spa e così via. Tanto che anche il famoso brand Giochi Preziosi, visto l’abbassamento della natalità umana, ha espanso i suoi orizzonti ed è entrato nel mercato dei giochi per animali

Vet: in Italia, la spesa per gli animali domestici supera quella destinata ai bambini, con circa 950 milioni di euro l’anno dedicati al loro mantenimento. Diagnostica e farmaci tra l’investire in salute preventiva, le visite veterinare e tutto quello che serve di routine e non: macchinari specialistici, vaccini, antiparassitari, visite, lastre, ricoveri, operazioni, riabilitazioni, antibiotici etc. Il tutto ha beneficiato anche il mercato delle assicurazioni mediche dedicate. 

Immaginate tutto questo scenario come continua a creare e sfornare medici veterinari, strutture veterinarie, ambulatori, cliniche, ospedali veterinari specializzati. In Italia abbiamo anche una catena franchising che sta prendendo piede e generando molto utile per gli azionisti. Quanto costa tutto questo alle persone? In Italia l’aliquota Iva del 22% è usualmente attribuita a prodotti e servizi non essenziali, e infatti pet food e visite veterinarie sono considerati beni e servizi di lusso. L’impatto economico per le famiglie che ospitano animali è diventato rilevante.

Firma per gli animali - ORA - Movimento rispetto per tutti gli animali

E sapete un’altra cosa ancora? Ci pensavo mentre mettevo la crema per la congiuntivite sull’occhio del gatto a cui sto facendo pet-sitting: questa crema per esistere ed essere resa efficace e sicura, è stata sperimentata sugli occhi di migliaia di altri animali. Oltre al dolore di tutto questo, pensiamo alle risorse che questo intricato sistema destina alla sperimentazione animale, alla ricerca veterinaria per medicine per animali domestici, anziché per la conservazione di specie selvatiche che non possono essere usate come commodities nelle nostre case e città e su cui si può monetizzare.

Dietro ai domestici si muovono costi e guadagni che generano mercati che sfornano nuovi ed ulteriori segmenti di mercato e capitali. Università che sfornano specialisti, nuove aziende che nascono, crea nuove cliniche, hotel, spa, cat cafè, tutte e tutti interdipendenti. Il tutto per renderci sempre più agevole il metterci in casa animali, e così continuare a normalizzarlo e metterci dentro sempre più specie, e creare richieste sempre più diversificate. 

I pet si portano anche negli uffici pet-friendly, e anzi, “aprire i propri uffici ai cani avrebbe delle ricadute positive sia per le persone che per le aziende” ma anche “la presenza di cani migliora l’umore complessivo dell’ufficio, diminuisce lo stress, favorisce una maggiore creatività e produttività”. Ok, d’accordo, e che ricadute ha sui cani? Secondo voi, a loro piace l’idea di scegliere tra lo stare quasi tutto il giorno a casa da soli ad aspettarci e la vita corporate 9-5 che forse un po’ detestiamo anche noi? Ci mettiamo mai nei loro panni? 

Un impero che più cresce e si normalizza, e più è difficile da decostruire e fermare. Un modello insostenibile in crescita come tutti gli altri, con tutte le sue implicazioni ambientali ed etiche. E dove non c’è sfarzo, ci sono animali abbandonati perché “non erano come ci aspettavamo“, “non mi posso permettere di curarlo”, vediamo abbandoni, costi pubblici per la gestione di canili/gattili e controllo del randagismo, mercati neri.

Free Adorable Anatolian shepherd dog enjoying a sunny day outdoors at a dog shelter. Stock Photo

Conclusioni: tra riflessioni etiche e scelte (più) sostenibili

Tante sono le persone che si portano a casa un animale per regalargli una vita migliore, e arricchire la propria. Tante, sono diventate antispeciste e vegane proprio grazie alla convivenza con altre specie. 

Con tutte queste consapevolezze, questo immenso grande quadro, non so cosa vorrò fare. Forse, un giorno, deciderò di salvare un animale e fare del mio meglio per dargli una vita più bella e dignitosa, o forse chissà, adotterò un erbivoro. Come spesso accade, ho tante informazioni, dubbi e domande, poche risposte e certezze da dispensare.

La mia esitazione non è una condanna verso chi ha le idee più chiare delle mie e decide di convivere con animali, anche con logiche molto più minimaliste e meno opulente di quelle raccontate sopra, ma una riflessione su come ogni scelta individuale si innesta in un sistema più grande, che va visto per essere interrogato. Prendersi cura di uno o più animali domestici, non è solo una responsabilità individuale ma è anche un atto che si intreccia con questioni più ampie come il consumo, l’industria alimentare, l’impatto ambientale e le priorità nella protezione delle specie. 

Affrontare i dilemmi etici legati agli animali domestici significa muoversi in una fitta rete di contraddizioni. Non esistono decisioni perfettamente coerenti o prive di contraddizioni: ogni nostra azione si inserisce in una rete di relazioni e conseguenze che spesso sfugge al nostro controllo. La consapevolezza di queste dinamiche non deve paralizzarci, ma spingerci a interrogarci su nuovi, molteplici modi di agire. Sfidiamo il modo in cui la società pensa e tratta gli animali, domestici e selvatici, sproniamoci a cercare compromessi sostenibili, a costruire alternative praticabili. 

Il “vero” cambiamento passa per l’adozione di un animale o si trova altrove? nella lotta per la conservazione degli habitat naturali, nell’educazione al rispetto di tutte le specie, nella costruzione di modelli economici e culturali che diano priorità alla biodiversità, e a cascata tutto il resto? Cosa faccio, dunque, in forma alternativa per contribuire alla causa di liberazione animale se non ce la sentiamo necessariamente di salvare un domestico e metterlo in casa? 

Dove c’è complessità, non esistono soluzioni “uniche”, semplici, accessibili e perfette; non esiste bianco o nero, buono o cattivo. Il valore sta nel mantenere viva la capacità di interrogarsi e navigare le contraddizioni. Ogni volta che ci poniamo domande difficili, ogni volta che mettiamo in discussione quel che è dato per assodato, creiamo lo spazio per un cambiamento possibile.

La consapevolezza che l’impegno individuale e collettivo/sistemico, si intrecciano, possono essere portati avanti e alimentati in contemporanea. L’uno rafforza l’altro.

Al momento, decidere di non accogliere un animale domestico sembra una rinuncia, in realtà può rappresentare un’opportunità per esplorare altre forme di azione. Il supporto economico ai rifugi non solo permette di aiutare direttamente gli animali in difficoltà ma in luoghi sicuri, ma rafforza anche quelle realtà che sono un’alternativa al mercato degli animali come oggetti di consumo.

Sostenere progetti di conservazione della fauna selvatica è un altro modo per contribuire: proteggere gli ecosistemi naturali significa lavorare per il benessere di tutte le specie, umane e non. Questo approccio richiede un cambio di prospettiva: allontanarsi dall’empatia “semplice” verso ciò che è vicino e tangibile, per abbracciare una visione che sembra più lontana, ma è anche ampia e sistemica e ci ingloba tutt* in un grande disegno.

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