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Ghetto Economy: dietro lo sfruttamento di terre, persone e animali c’è sempre la povertà economica e culturale

Sono entrata in un supermercato e guardando una scatola di pomodori, ho pensato a Satnam Singh, alla persona di cui si parla da giorni. Chissà quanta gente sfruttata ha toccato questi pomodori, questa frutta e verdura.

Il mio pensiero è andato a quel genere di ‘attivismo‘ che ho fatto anch’io per diverso tempo, che però riguardava lo sfruttamento degli animali non-umani.

Consisteva nell’applicare degli sticker sopra i prodotti di origine animale presenti al supermercato, far sapere alle persone che li sceglievano, che cosa stavano comprando e supportando. Lo scopo? Fargli vedere cosa c’era dietro, aprire loro gli occhi sull’orrore delle filiere industriali ed intensive, farli desistere dall’acquistarli.

Oggi ci ripenso, e mi chiedo: ma quest’azione, su chi funziona?

Se oggi applicassi su queste scatole un messaggio che dice: “Questi pomodori sono sporchi di sangue, di caporalato, di sfruttamento”, come reagirebbe una persona qualunque che fa la spesa?

Ipotizzo, in due modi:

– La persona smossa da questo messaggio, con le possibilità culturali ed economiche, potrebbe mobilitarsi per fare scelte diverse; ma andrebbe facilitata e formata nel farlo.

– La persona che non ha le possibilità economiche (e forse neanche culturali) lo legge e forse pensa: “mi spiace, ma non dipende da me. io devo mangiare e questo è tutto quello che riesco a permettermi al momento”.

Le scelte (più) sostenibili, etiche, consapevoli, attualmente, sono principalmente in mano a chi ha il privilegio di poterle fare. Il privilegio di avere strumenti culturali ed economici, le altre persone ne sono escluse.

Ed è per questa ragione, che lavorare alle radici dei problemi, ovvero sulle condizioni di vita, di lavoro, e sui salari, è la cosa più importante da fare. Perché in primis abbiamo bisogno di persone che lavorano dignitosamente in tutti i settori, con stipendi e condizioni di vita e lavoro, giuste. Abbiamo bisogno di smetterla di alimentare questa povertà culturale ed economica, e lasciare le persone senza i mezzi nè di sussistenza, nè le capacità di comprendere e muoversi nelle dinamiche di un mondo che riescono solo a subire.

Solo in questo modo avremo delle persone, alla fine della filiera, che possono scegliere (per davvero, consapevolmente) di comprare dei prodotti buoni, che sono più sostenibili, che hanno un costo giusto. È un passo radicale, perché va alla radice dei problemi.

Continuiamo invece a lavorare principalmente ad un livello altissimo, superficiale e distante, di sensibilizzazione delle singole persone a scelte più sostenibili, ignorando le disparità sempre più evidenti. È una parte importante anche questa, ma se queste persone non vengono messe nelle condizioni di poter vivere con gli strumenti necessari, non lo faranno mai. Non potranno scegliere, si adatteranno.

Stiamo tutt* perdendo tempo, e se oggi non ci impegnamo a tutelare i più deboli, potremo presto diventare anche noi, quelle persone. I privilegi si acquisiscono, e si perdono, quando li si da per scontati e non se ne parla per troppo tempo.

 

 

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