Perché non dovremmo condividere foto di carni e prodotti animali?
Semplice: per lo stesso motivo per cui non facciamo pubblicità gratuita alle compagnie petrolifere
La maggior parte delle persone consuma ancora animali e derivati. C’è chi, mosso da varie motivazioni, sta meditando di ridurre o di smettere, magari lo sta già facendo, ma quando si trova davanti ad un piatto, non resiste alla tentazione di fare una foto e ricondividerla sui social con i propri contatti.
Perché, invece, dovremmo riconsiderare l’abitudine di condividere contenuti dedicati a taglieri, barbecue e piatti ricchi di derivati animali?
Non si tratta di essere vegetariani o vegani, ma piuttosto di non promuovere attivamente una delle industrie più inquinanti del pianeta.
Sappiamo infatti che i due settori principali responsabili dell’emissione di gas climalteranti sono quelli legati alla produzione energetica e al sistema alimentare basato sulle proteine animali. Soprattutto le carni e i latticini provenienti dai bovini, sono attualmente considerati gli alimenti a più alta intensità di emissioni. Contribuiscono ad alimentare la crisi climatica che causa immense sofferenze agli animali, agli esseri umani e agli ecosistemi.
Le industrie della carne e del petrolio lavorano incessantemente da anni per nascondere la verità dietro ai loro processi, ai danni che causano e per evitare regolamentazioni che potrebbero limitarne l’attività. Investono ingenti risorse in pubblicità e lobbying per creare narrazioni fuorvianti sulla bontà e sostenibilità del loro settore e mantenere alta la domanda dei loro prodotti, promuovendoli come parte di uno stile di vita desiderabile e senza conseguenze. I loro sforzi hanno l’obiettivo di distrarre la cittadinanza dai loro misfatti climatici e consentire loro di continuare a operare indisturbati.
La pubblicità ha infatti un potente effetto normalizzante e quando siamo regolarmente espost* a narrazioni, claim e contenuti sponsorizzati su hamburger, salsicce, formaggi e altro, il messaggio che riceviamo (direttamente e indirettamente) è che questo consumo eccessivo non è un problema, ma un piacere. Che possiamo continuare a vivere e mangiare come abbiamo sempre fatto, non mettendo nulla in discussione.
Le industrie della carne e dei derivati animali (due facce della stessa medaglia, perché gli esemplari femmina sfruttati per uova/latte quando non sono più produttive diventano carne) creano eserciti di influencer, cittadin* e studenti attivisti (soprattutto nell’ambito della veterinaria, produzioni animali e zootecnia) per amplificare messaggi che potrebbero essere la chiave del loro successo futuro: “L’allevamento non inquina poi così tanto rispetto ad altre industrie”, “Certi tipi di allevamento in Italia non esistono”, “Stiamo lavorando sull’editing genetico e sui mangimi per ridurre le emissioni di metano”, “Ridurre carne e latticini è un attacco alle libertà personali”, “Abbiamo imballaggi sostenibili e piantiamo alberi” e così via.
Negli USA, in Europa, come in Italia, le aziende produttrici di carne sono largamente presenti anche nelle università e negli istituti di ricerca. Sponsorizzano la ricerca, creano corsi, vincono bandi, forniscono infografiche e spunti di discussione da utilizzare nelle conversazioni online e offline su questi argomenti. Sostengono economicamente eventi e festival dedicati alla sostenibilità e al cibo, mettendo così i loro collaboratori sui palchi a parlare, noncuranti dei conflitti d’interessi.
Il risultato è una moltitudine di narrazioni fuorvianti sulla sostenibilità dell’industria delle carni. Quanto più si semina confusione sui reali impatti e le azioni importanti da portare avanti, tanto più si indebolisce il cambiamento individuale, collettivo, sistemico.
Il loro obiettivo è ridurre al minimo la percezione dell’impatto climatico e lavorare duramente per difendere la reputazione ambientale della carne. Attraverso post di blog, video, risorse educative, editoriali, spot televisivi, campagne sui social media, influencer qualificati e altri canali, l’industria sta cercando di convincerci che ciò che la scienza certamente non dimostra: che il cambiamento alimentare non ha poi questo gran ruolo nella strategia climatica. Invece, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente dovremmo ridurre le emissioni di metano almeno del 30% entro il 2030.
Tornando quindi alla questione del postare foto di piatti con animali e derivati animali, quali sono le ragioni dietro il continuo desiderio di dimostrare, con gioia ed entusiasmo, che continuiamo a scegliere, cucinare, mangiare e condividere il consumo di derivati animali? Stiamo contribuendo attivamente a rendere gli sforzi e il dibattito ancora più difficili.
Smettere di pubblicare foto di animali trasformati in carne e derivati, è un ennesimo passo, un atto di cura per la vita su questo pianeta e una sfida alla potente industria che ne trae vantaggio a spese di tutt*.
Invece di chiederci: “Non posso nemmeno postare una bistecca in pace?”
Chiediamoci: “Quanto è sensato continuare ad incoraggiare quest’abitudine con segnali sociali entusiastici?”
Se vogliamo cambiare, dobbiamo anche modificare le norme sociali su ciò che mangiamo e porre fine alla pubblicità gratuita sulla carne, che è una parte cruciale di questo processo di normalizzazione. Continuando a pubblicare foto di carni e derivati, ci facciamo persone ambasciatrici non retribuite dell’industria della carne. Se rendiamo pubblico tutto questo postandolo orgogliosamente, collegandolo alle nostra identità e promuovendolo nei nostri spazi digitali per ricevere approvazione in cambio, stiamo lavorando fianco a fianco di un’industria che sta mettendo a repentaglio la vita su questo Pianeta.
La disinformazione sui social media non avviene nel vuoto, ha implicazioni nel mondo reale e plasma le percezioni delle persone e i dibattiti politici.
Come possiamo essere agenti di cambiamento nei nostri percorsi di transizione?
- Pubblichiamo più piatti a base vegetale. Ispiriamo cambiamenti e buone pratiche;
- Mostriamo come un’alimentazione varia e bilanciata, ricca di cereali, legumi, verdure, frutta, frutta secca, oli, semi, erbe spontanee, funghi, alghe e così via, può essere deliziosa, varia, nutriente e mai noiosa, soprattutto se seguita correttamente;
- Parliamo dell’importanza di prediligere acquisti da un’agricoltura responsabile, quanto più locale, stagionale, che supporta l’economia locale e le filiere corte;
- Chiediamo, scegliamo o segnaliamo le opzioni a base vegetale ovunque ce ne danno la possibilità: al ristorante, ad un buffet, ad un ritrovo;
- Ricordiamo che una dieta a base vegetale fa bene a tutt*: alla nostra salute fisica e mentale, a quella di chi ci circonda, agli animali, all’ambiente, e ha ricadute positive sanitarie, sociali ed economiche
Ormai dovremo averlo imparato: tutto quello che facciamo o non facciamo a livello individuale e collettivo, troverà il tempo e il modo di tornarci indietro come un boomerang, con gli interessi. Abbiamo il potere di agire consapevolmente, mettiamolo in atto.